Il fermo immagine del diritto è controverso perché stigmatizza una realtà controversa. Il diritto non vive nel distillato astratto dei dogmi ma nel mobile respiro delle precipitazioni viventi. La sua vera sfida non è lo spazio ma il tempo. Come nel deserto dei Tartari il nemico, l’oggetto dell’attesa fortificata, non si materializza mai, sfugge alla realtà, così il tempo si sottrae alla scansione ordinata delle regole, non perché in antitesi, bensì per ragioni intrinseche. Il tempo che muove contro il bastione del diritto è l’aria che in esso si respira, quel genere immoto che l’appesta con il suo scorrere senza alcuna apparente importanza. Quando si pensa al diritto globale bisogna superare l’obiezione del tempo. Il controtempo è la musica del diritto, soave espressione di un viaggio infinito tra popolazioni ignote alle stelle del cammino. Perdere i punti di riferimento, consueti al diritto, significa seguire i Magi in un ritroso impreziosito dai doni. Chi crede al tempo lineare odia il diritto e lo vive come una prigione. Non è un caso che l’opera certosina e fantastica del Milione nasca attraverso un racconto nello spazio chiuso, dove il tempo sembra fermarsi e scomparire, occultando il sole agli occhi di Marco Polo.
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