Nel pugno delle cose vi è una tromba che suona da sola, una rara occasione di vita al cospetto del nulla. La rarità dello spartito si concentra sulla misericordia divina che soccorre il naufrago tra i suoi fogli di asfalto, la screpolata mediazione con il mezzo meccanico e quella sua naturale avventura umana che lo costringe a saltare le parole dopo averle rese incandescenti tra davanzali e nuvole. Ci sono pochi battiti vivi come quelli dell’orologio, ma io voglio dare agli abeti ai cani e ad un pony la dignità che meritano nell’ordine del creato e togliere me e miei simili dalla gara, tanto abituati siamo a credere che fare male basti a sentenziare il biglietto del treno, il viaggio che ci spetta nell’infinito disordine.
Strano quanto gli esseri umani temano le parole, forse perché la verità è una parola che unita alle altre fa un solstizio quando si concentra nella confusione della folla.
Chiamati alle armi da un fare inattivo, remoto, espresso per algoritmi e vaghe approssimazioni alle conoscenze comuni, restiamo al palo dell’inerzia, devoti.