L’arte dello smarcarsi è andare in fondo al campo incolto e cambiarsi d’abito
L’arte dello smarcarsi è avere il talento nella voce e cantare quando ci si fa la barba
L’arte dello smarcarsi è portare l’amore alla sala imbarchi e partire da solo
L’arte dello smarcarsi è il testaletto dal quale guardo il mondo in un sogno
L’arte dello smarcarsi è un sogno una valigia perduta un manico rosso un taxi
L’arte dello smarcarsi è “sono sempre io, quello che vedi, io che avevo quindici anni”
L’arte dello smarcarsi è l’arte di rimanere in bilico su una foglia secca, poco importa
L’arte dello smarcarsi è l’arte di correre contro il tempo contro le parole per necessità per amore, anche se non lo so
L’arte dello smarcarsi è confondere i suoni con le immagini, presentarsi al check-in e partire per un viaggio sconosciuto, Russia Portogallo o altro, senza destinazione
L’arte dello smarcarsi è tenere aperta una casa che va in pezzi per il giorno che si fa rosso, poi luce, già qui, per entrambi, anche se tu non ci sei, non ti ho voluto, da anni
L’arte dello smarcarsi sono denti di cane rumore di caldaia e frenesia arrendevole
L’arte dello smarcarsi è rimanere fedeli alla poesia che per strada carica stracci nudi
L’arte dello smarcarsi non è l’arte di finire (dove mi trovo), ma l’arte di ricominciare (dove ti trovi tu che mi stai aspettando)
È una poesia necessaria. Quasi come se avesse un obbligo nel non avere insito in sé un obbligo stesso. Onorato al solo leggerla
Leggo, e mi sembra di sentire l’eco dei miei pensieri…