La campagna beve l’onda
compiacendosi dell’aridità
guardata da secche polveri
del legno e dall’antico viale
annuncia un verso del cane
e di quel nuovo abbandono
letale che striscia addosso
come un cane tra le tombe
il giardino dove siamo stati.
Non bisogna assistere
alla premura di giudizio
radiodiffusa per strada
dalla casa del barbiere
di spalle ai morti freschi
alle loro tombe disperse.
Siamo stati dove oggi siamo
chiusi nell’ovulazione erosa
dal sanguinolento esprimere
il chiarore e il rossore gridati
cavalli in corsa sudati fermi
nelle notti della luna piena,
Ottaviano zia Armida la chiesa
il prete con la tonaca sporca
nella sua cassapanca biscotti
di anice ricami d’umide muffe
dolore solitudine la lunga fila
che arriva fino a Lioni terrena
prima di quella celeste cavalli
stivati tra le scale di luna piena
crini intrecciati da mani esperte
che indicano la morte novembre
sulla turbina di Telese Giovanni
zio Antonio fine del lavoro i latrati
dei cani echi di tombe disperse.
Non parrà vero a qualcuno
che raccontarsi è chinarsi
scendere da cielo a terra
sfiorare il fiore
protrarsi dopo la morte
quando ci si è estinti
per aver troppo vissuto.