[…] La sua vita mi metteva (e mi mette) nella condizione di sapere, sempre, da che parte stare.
[…] Se non si ha alcuna gioia nel cuore, mi ha insegnato, le tenebre ne prendono il posto. Bisogna trovare uno spazio per la felicità, aprirlo come il tavolo del pic-nic, mangiarci sopra, con le donne e gli uomini da amare, in carne ed ossa, che possono stringerci la mano nel momento del bisogno. Shlomo era (ed è) l’isola tra molte correnti, l’isola a cui pensare, che m’impediva (e m’impedisce) di cedere alla morte, al suo giudizio, alla sua condanna. Lui che aveva guizzato come fiamma da una lotta ardente, mi appare più simile al tramestio del quotidiano testimoniarsi in Dio, che ai simboli della memoria, che servono agli uomini per un’altra lotta, un altro olocausto. Shlomo era (ed è) puro dalla barbara costellazione delle parole.
Dedicato a Shlomo Venezia, nato il 29 dicembre 1923, Salonicco, Grecia.
Tratto da F. CASUCCI, L’uomo che non ha fretta, in ID., I cuori caldi hanno freddo, Caserta, 2018, pp. 58-59