L’art. 32 della nostra Costituzione, al primo comma, recita che la “salute” è “un fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. La “salute”, dunque, è diritto unitariamente inteso (“una” è la Repubblica secondo l’art. 1 Cost. e “una” è articolo indeterminativo ma in funzione predicativa, dentro c’è tutta l’enfasi del palcoscenico giuridico d’eccezione e una carica definitoria molto accentuata), non vi sono aventi titolo di serie A e di serie B, tantomeno erogatori di prestazioni sanitarie di serie A e di serie B. L’emergenza virale che da tre mesi erode le radici del sistema socio-economico sul quale si fonda la democrazia occidentale (volendo ritenere l’Occidente tutto articolata espressione di una identità culturale tendenzialmente omogenea), almeno in Italia, non ha provocato solo reazioni diverse ma anche risposte non univoche a questa domanda basilare di salute secondo il modello consolidato. Se “diritto dell’individuo” e “interesse della collettività” fraternizzano nello specchio costituzionale, il connubio necessario, il parto gemellare ha manifestato in concreto, pur nel bilanciamento, momenti di scissione e di crisi: penso all’assistenza sanitaria ordinaria (generale e specialistica) di pazienti acuti e cronici abbandonati a se stessi (lasciando spazi assai limitati di intervento per i soli casi “urgenti” e “indifferibili”, che noi giuristi definiremmo di ultima, pietosa istanza); penso, ancora, alle difficoltà, a volte insormontabili, nelle quali hanno dovuto operare i medici di medicina generale all’interno delle cc.dd. Aggregazioni Funzionali Territoriali (AAFFTT); penso agli approcci terapeutici divergenti, contrastanti e controproducenti che sono stati sperimentati sulla pelle dei cittadini (plasma no, plasma sì); penso, infine, alla (dolorosa) necessità di scegliere tra diritto alla salute e diritto alla libertà (non solo personale ma anche di iniziativa economica privata; tant’è che molte strutture dell’ospedalità privata sono state di fatto “requisite”, vero e proprio espediente bellico, senza riconoscere loro, dopo generiche e confuse citazioni di istituti giuridici, l’indennizzo che occorre per mantenersi legittimamente in vita). Il quadro del primo comma dell’art. 32 della nostra Costituzione nel prisma della realtà appare, perciò, molto frastagliato, comunque meno scontato di quanto sembri. Meritevole, in ogni caso, di approfondimenti problematici, se individuo e collettività non coesistono sempre pacificamente nel perseguimento degli obiettivi di salute ivi disciplinati: da qualche parte spunta ancora una “colonna infame” (tra Manzoni e Stajano), un untore da prelevare e condannare, dopo qualche (non sanguinaria ma di certo) cruenta tortura burocratico/mediatica. Eppure, il secondo comma dell’art. 32 della Costituzione italiana afferma che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Vi è qualcosa che sta più in alto della legge, anche più in alto della Costituzione, che altro non è che una legge rafforzata, una stella cometa nel panorama politico-istituzionale della “comunità” alla quale si riferisce, ma pur sempre parte del complesso sistema di affermazioni giuridicamente ritrattabili. Questo qualcosa di grande rilevanza etico-sociale (non a caso, il Titolo II della Parte Prima della Costituzione italiana s’intitola così), apparso tra i righi della nostra Carta fondativa già dalle sue prime battute (artt. 2 e 3 Cost.), è (lo si ripete, sottolineandolo): “il rispetto della persona umana”. Ogni “trattamento sanitario” deve muovere da qui. Siamo sicuri che la legislazione pandemica (Covid Law, nel linguaggio internazionale), tanto penetrante quanto dilagante, abbia mantenuto un “livello elevato di protezione” (uso l’espressione dell’art. 35 della Carta di Nizza intitolato “Protezione della salute”) di questo principio generale? La domanda va posta agli ammalati, alle famiglie, che hanno esplorato loro malgrado una “distopia”, ossia un brutto futuro diventato improvvisamente presente, un luogo “ideale” diventato “cattivo”. Per esorcizzarlo, occorre una forza altrettanto “ideale”. Tale forza espressivamente piena, storicamente determinata, è contenuta nella Parola della nostra Costituzione, che come una preghiera laica dovremmo ripetere a noi stessi. Forse, una certa attitudine eretica non guasterebbe per ricordare la centralità dell’umano nei “rapporti civili”. Di “senso di umanità” discorre il terzo comma dell’art. 27 Cost. sul versante dei trattamenti punitivi. Libertà (art. 13 Cost.) e innocenza (art. 27 Cost.) sono condizioni essenziali per l’integrità psico-fisica dell’individuo. La fantascienza post apocalittica ha scritto pagine contro il rischio di esposizione al contagio dell’inumanità: “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” (George Orwell, 1984). Coraggio, Cautela e Competenza, virtù di eroismo civico, dinanzi alla nuova prova costituzionale. Sapremo se il Covid 19 ha inaspettatamente ringiovanito o traumaticamente invecchiato la nostra amata Costituzione italiana.
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