Il volto umano è figlio del volto umano. Se guardi, nel guardare vedi l’altro da te. Umano anch’egli. Nell’umano vedi, raccogli e pesi te stesso, la tua crisi, la voglia di riscatto, la mano ferita, il riparo che ha portato al tuo cuore una casa invisibile.
Mi riconosco figlio dei miei genitori. I dati genetici ne sono la prova. Loro, come me, che lo pratico per atto di resistenza, hanno vissuto in un “piccolo mondo antico”, diverso da quello grande e informe della globalizzazione in cui tutto si assottiglia fino all’immateriale e tutto si assomiglia fino all’immanente. Io, che sono stato un figlio ribelle, mi riconosco figlio loro. È tempo di eredità e di scelte, nuovi sono i “liberali” e gli “austriacanti” narrati da Fogazzaro. Occorre capire da che parte stare. Il redde rationem (Vangelo secondo Luca, 16.2) giunge a compimento, soprattutto per i giuristi occidentali. Un mondo diviso allestisce campi di concentramento e sistemi di tortura molto sofisticati. Non è il mondo a misura d’uomo nel quale è possibile ritrovarsi per stare insieme. Riconoscersi figli di qualcuno, svelarsi la genitorialità di cui siamo figli, attiene al corpo (tratto genetico) e al pensiero (tratto culturale), ma è anche un procedere in avanti, evolvere le “leggi di natura” nella pratica di libertà e resistenza che ci è cara, senza tradire la continuità dell’insegnamento ricevuto.
“Noi siamo”. Non spezziamo il “legame” con chi ci ha “addomesticato” (la volpe e il piccolo principe nel capitolo ventunesimo dell’opera di Saint-Exupéry parlano di questo). Le regole hanno un’origine. Si parla troppo spesso di regole, ma “nessuno” (lo dice la volpe letteraria nel pieno della seconda deflagrazione bellica) “sa più” o ricorda che le regole servono a “creare legami”. “Addomesticare” è una pratica di libertà e di resistenza che risponde a regole umane. La somma regola umana, seguendo l’insegnamento del piccolo principe, è l’amicizia. Anche un “fiore” può addomesticarci, se ci insegna le regole della familiarità, della confidenza e della mitezza; un fiore può nominarci eredi con un testamento di bellezza e solidarietà che nessun notaio è in grado di stilare, eppure quel “legame” esiste, come dimostrano i grandi movimenti ecologici dello scorso secolo. In un mondo globale in cui “tutti gli uomini si somigliano”, creando condizioni di controllo facilitato da parte del potere costituito, bisogna affidare la vita ad una luce personale e “illuminante”, trovando nella sua storia la “ritualità” consolatoria (“il rumore di un passo fra tutti”, che ci fa “uscire dalla tana, come una musica”), il coraggio delle “azioni” (la Vita activa della Arendt, profondamente radicata nell’umanesimo), la “conoscenza” non episodica. La regola, nel “creare legami”, ci illumina e ci grava, incide su un livello di “responsabilità” assai particolare. Io, come parte di una comunità affusolata da regole, mi sento “responsabile” del “legame” che altri hanno creato con me e che io ho creato con altri, non solo in termini strettamente generazionali, devo andare alla ricerca di quel che ho perduto nel tempo, ritornare al “pianeta” della mia “rosa”, di cui aver cura. Ma quale è la “rosa” da cercare? Quale il fiore “germogliato da un seme arrivato da chissà dove”? A me, come giurista, è stato affidato un “rametto” del tutto diverso dagli altri, “qualcosa di miracoloso”, in perenne preparazione di se stesso come bellezza, “al riparo dentro la sua camera verde”. Non può essere andato perduto, io l’ho veduto quel fiore “nato col sole”, fonte d’innumerevoli “emozioni”. L’ho imparato dai testi di Raffaele Cicala. Esiste il “fiore” del diritto. Ne sono certo. Dove “cercare un innaffiatoio pieno di acqua fresca” per prendermi cura del mio fiore? Come proteggere le “sue quattro spine” sanzionatorie? Come impedire che le “correnti d’aria” della globalizzazione abbattano il mio fiore? In che modo, far prevalere “la buona volontà” (i principi, l’idealità corrusca) sulla diffidenza che provoca sempre il fare, l’errore che vi si annida? Chi giudica deve fondarsi sulle “azioni”, non sulle “parole”, dice il piccolo principe. “I fiori sono così contraddittori!”. Proprio come le persone, viene da aggiungere. Il principio di contraddizione (non il suo contrario aristotelico) anima il mio fiore del diritto, tanto umano da attribuire alle regole che conosco una struttura informale, esplosa.
Non si può, non si deve spezzare il legame di genitorialità che ci è proprio. Noi siamo noi. Figli di un legame (o più legami) e di un’immota solitudine, che ha molte forme e un’unica imminenza. Siamo così noi stessi, quando il tratto culturale radicalizza quello genetico, da diventare persone dimenticate, escluse, “figli di un dio minore” recitava il titolo dell’opera teatrale, prima, cinematografica, poi, degli anni Ottanta, dedicata all’incomunicabilità e a un patrimonio del silenzio da riscoprire.
Tocca sempre il tuo fiore. Nella sua fragilità. Accarezzalo. Vive per l’amore che gli doni.