La piaga genera l’uomo, che genera la piaga. Arduo il cammino della salute. Diventare sani è atto contro natura, rivoluzionario, doloroso, sincretico. La vita di relazione nevica nel cuore d’ogni uomo, scioglie in lui un gelo significante. Misura l’insoddisfazione. L’offesa all’altro restituisce miseria all’errore, mistificazione alla grandezza. Ragionevolezza assapora il comando, forza le mura del bastione sanguinante, porta l’assalto all’origine, alla genitorialità. La ragionevolezza sta al comando come la sorda e cieca obbedienza alla sopravvivenza della specie. Torna la piaga nel soliloquio della ragione. Solo la morte di se stessi rinasce all’altro senza violenza o vergogna. La vita dello spirito nega la mondanità. Ma questi sono discorsi astratti, se non li puoi vedere fino all’assoluto silenzio. Guarda, dunque, guarda il ponte, il velo che lo ghermisce, cancello battente un’anima imprimente immagini, nessuno con nessuno, mestiere del tradire la nuvola sul monte nero, fiume tra i sassi, gelido, uguale a se stesso. La forma è ferma. Nel volo migratorio, manto di vedovanza, s’apre il sole, con fragole d’oro. La piaga ripensa il suo sangue. L’uomo è apertamente estraneo al c-reato. Se sta in esso è colpevole, e deve espiare la sua colpa, altrimenti del tutto innocente. Da qui la creazione di mondi artificiali, come il diritto e la rete, così simili, dove l’uomo distribuisce pasti avvelenati da nuove piaghe senza alcuna necessità.
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