Viviamo l’involuto. Sequestrati in noi stessi. Abbattute le basi architettoniche della fantasia. Tratteniamo in grembo un fastidio. Giochiamo a moscacieca. Chi passa neppure si ricorda d’averci visto. Si diventa invisibili quando la realtà predice violenza. Lo sforzo cede il passo allo sconforto. Non siamo più in grado di reggere il peso, morale prima che economico, della nostra democrazia. Non siamo all’altezza dei compiti di solidarietà, doverosità e cura che ci sono stati affidati dai Padri costituenti. Non distinguiamo tra lavoro e operosità. Eppure basta limitarsi a osservare la natura! Affermiamo il diritto delle genti e dimentichiamo le persone, scolpiamo sacri principi su tavole di marmo che poniamo ai piedi della patria e ignoriamo che ogni goccia di sangue, ogni stilla di sudore scritta in quei principi è una Virtù, un modo esemplare di esserci e migliorarci contro i nostri egoismi. Il sistema non funziona, troppa polvere, troppe delusioni, troppo giustizialismo senza giustizia. Chi crede al testo e alla declamazione deve appassionarsi alle ali che gli sono state date per sollevarsi nel cielo e gridare la propria indignazione. Non sarà un’opera pubblica in più a salvare il Paese (questo lo dice il mercato), da noi le azioni riparative sono un’allitterazione e una sfida. Quel che salverà il Paese saranno i Vangeli delle Virtù e la memoria naturale che ne conterrà tutte le parole. Date nuovamente voce al “diario degli errori”, all’arte di vivere. Dove cercarla? “Conosco un posto nel mio cuore dove tira sempre il vento”. Strappate per tempo dalle mani di Persefone il narciso. Torni da noi, Kore. “Rivoluzione” è un calpestio, direbbe Marco Di Meola. Splende agli occhi di Demetra.
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