Caro padre,
ogni giorno viene il tuo giorno, sussurra le parole, le ripete, motti che affiorano alla mente. Sono diciannove gli anni che sei diventato aria da respirare nei ricordi, sono gli anni che il tuo volto ha le sagome degli alberi che guardo dalle finestre in autunno. Non ti scrivo per rendere pubblico il mio pensiero, se non ho detto e non ho fatto per tempo non posso rammaricarmene, ma per seguirti nel cammino, che ha passi ancora vivi che s’addentrano nell’ombra, dove tu riposi il riposo che è caro ai nostri timori. Nessuno risponde alle suppliche, come accade a tutti coloro che piangono i propri morti, ma io sento forte, oggi più di ieri, l’abbraccio che vorrei darti, quello che è negato dalla nostra diversa condizione. Tu esisti, luna seduta nel cielo degli occhi, specchio che rifrange i miei voli notturni. Esisti perché io cerco di non tradire il tuo insegnamento, come un interprete che cerca nel segno grafico del passato il significato che le è conferito dalla mano che lo ha disposto. La chiamano filologia del sentimento. Il tempo incalza. Tu esisti dove io sono, in un amore che si rinnova, scivolando sull’acqua, perdendo peso per tornare all’impeto che produce lo scontro tra anime che incrociano gli interrogativi. Ora io ti chiedo chi sono, nato dal tuo governo, sepolto dalla coperta che mi hai fatto cadere sulle membra stanche di vivere un’altra vita. Ti chiedo cosa sono, se chi viene da me pronuncia la stessa domanda e la trova irrisolta. Tu che hai retto la forza e l’hai spezzata, risvegliami da questo sonno che fa lacero qualsiasi dominio, salvami dall’inutile sussiego alla rettitudine, prendi per mano l’ira dell’uomo sconfitto dagli eventi avversi e ponilo al cospetto delle proprie fatiche, senza alcun moto d’ira, solo la quieta sopportazione dell’oggi che va fatto per gioia e per rettitudine, anche nelle lacrime. Non disperdermi le promesse, non renderle deboli dinanzi all’arbitrio di una forza velenosa che viene da te, ugualmente, e inocula menzogne. Salva il vero. Ponimi al servizio della necessità e non farmi smarrire il principio primo del moto celeste, che ti anima e mi soccorre. E quel giorno che s’approssima rendilo simile al futuro. Ora, mai più, dimmi degno d’esserti figlio. Suona la sveglia, qualcuno s’alza. Addio.