Ho partecipato nei giorni 8 e 9 maggio a due eventi pubblici. Il primo, presso il Senato della Repubblica Italiana, per festeggiare il riconoscimento del Sannio-Falanghina come Città Europea del Vino 2019. Il secondo, per festeggiare l’Europa. Due eventi del medesimo segno, in controtendenza con il “silenzio assordante” che avvolge le imminenti elezioni dei nostri rappresentanti al Parlamento europeo.
Il primo evento, intitolato “Degustazione Letteraria”, riprendeva il format di una quindicina d’anni fa realizzato, per iniziativa di Sandra Lonardo e mia, nella bella cornice del Museo del Sannio di Benevento, con serate di grande successo. Il format aveva il medesimo titolo (sia pure al plurale) di quello romano. L’idea progettuale, replicata nella circostanza, muoveva dalla volontà di evidenziare tre azioni ordinatrici e armonizzatrici della sfera pubblica, poste all’interno di un solco culturale determinato, quello dell’umanesimo occidentale. Le tre azioni le ascrivemmo al tema universale (e civicamente sensibile) della “musicalità”. La prima azione si riconduceva alla “musicalità artistica”, ossia la musica in senso stretto, centro irradiante che affonda le radici nella mitologia greca (si considerino, fra i tanti, il mito di Orfeo e Euridice, quello delle Sirene e quello di Apollo e Marsia). La seconda azione si riferiva alla “musicalità” del “pensiero speculativo”, ossia la poesia, seguendo la ricostruzione del filosofo francese George Steiner. La terza azione riportava alla “musicalità” del lavoro agricolo, che ha anch’essa origini letterarie antichissime, rintracciabili ne Le opere e i giorni di Esiodo, poeta greco del VII secolo a.C. Si praticava, in quel lontano 2004, una significativa anticipazione dell’insegnamento di Diritto e Letteratura, attivato nel 2008 (primo in Italia) presso l’Università degli Studi del Sannio e affidatomi. L’interazione disciplinare tra queste tre forme diverse ma, nella nostra progettualità, convergenti di azione (nel senso arendtiano del termine) aveva un chiaro intento pedagogico, a sfondo etico-sociale, prefiggendosi, nel pieno del dibattito sulla Costituzione Europea, di offrire un contributo allo statuto di cittadinanza attiva, che altrimenti sarebbe apparso un vuoto espediente di burocrazia normativa, estraneo all’esperienza concreta di cittadinanza nella quale si radicano i diritti e i doveri del cittadino europeo (per la verità, l’art. 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dimentico delle sue più profonde tradizioni umanistiche, parla solo di “diritti”, come si trattasse di prodotti di largo consumo da rendere appetibili ai cittadini nazionali su un mercato potenzialmente euroscettico). Non ci appariva allora (e non ci appare oggi) un caso che l’Inno europeo, adottato duecento anni dopo l’Ode alla gioia di Friedrich Schiller che lo ha ispirato (1785/1985), sia pure attraverso la rilettura musicale della Nona Sinfonia di Beethoven (1824), recuperasse al destino di un ideale convivium (universale) la fratellanza, il coraggio e la “gioia”, appunto, che “bevono tutti i viventi dai seni della natura” (F. Schiller). Il vino si può, a ragion veduta, ritenere pienamente “gioioso”. Lo scrittore ebreo lituano Romain Gary sostiene che l’Europa è un mondo antichissimo, eppure è “un mondo nuovo, unito nel lavoro e nella gioia”.
Il secondo evento, patrocinato dall’Università degli Studi di Firenze – Dipartimento di Scienze Giuridiche, è stato dedicato ad una riflessione di commento al volume Cultura giuridica e letteratura nella costruzione dell’Europa, curato dal collega fiorentino Orlando Roselli (Editoriale Scientifica, Napoli, 2018), ed è stato animato dalle acute interviste ad alcuni dei partecipanti al volume da parte del giornalista Giuseppe Di Leo, con la registrazione audio-video di Radio Radicale. Il mio intervento (ne avevo ipotizzato uno del tutto diverso da quello che ho svolto), date le sollecitazioni dell’intervistatore, si è concentrato sul personale euro-smarrimento, che prende le mosse dal “silenzio assordante” di questi giorni, di cui ho detto in premessa. Ho cercato di motivare tale “silenzio” con il fatto che neppure il cittadino cólto europeo, dimentico delle proprie radici culturali umanistiche, sa apprezzare una cittadinanza (quella europea) che richiede slanci ideali, affinità elettive, passioni comuni. “Due guerre mondiali, che in effetti sono due guerre civili europee” (George Steiner) avevano reso le virtù solo apparentemente impellenti. Una cittadinanza d’élite, un doppione burocratico, contraddetto dalla storia, poco si confà alla retorica di regime. Nel novero delle cause possibili di questo stato di cose, va riconosciuto il drastico e irreversibile declino di uno stabile presidio culturale alla modernità politica europea. La Repubblica delle Lettere, che ne costituiva un’espressione assai risalente (XV secolo), è scomparsa prima della Rivoluzione francese. Da allora, osmosi, incitamenti, correttivi all’impiego di strumenti repressivi (una caratterista consueta degli apparati giuridici) non hanno trovato un contraltare nel “vitalismo etico” (la locuzione appartiene a chi scrive) filosofico-lettarario, come “metodo” cartesiano idoneo a rendere “meno esitante e più efficace la collaborazione fra tutti i sapienti alla scoperta della verità, al servizio del bene comune di tutta l’umanità” (Marc Fumaroli). Dalla fine del XVIII secolo ci si è dedicati ad ammansire le popolazioni con la “trappola dei diritti” (Rosaria Conte), che genera grandi slanci narrativi ma rischia di non riuscire a mantenere le sue laboriose e copiose promesse. Se poi ai compiti narrativi provvedono direttamente i giuristi (nelle sentenze, negli scritti difensivi, nelle interviste, nelle dichiarazioni in rete, in romanzi divulgativi, d’appendice e noir), l’autoreferenzialità si prende la scena (pubblica) e sacrifica gli spazi vitali di un “esame” di tradizione socratica, esercizio di consapevolezza di sé e di ricerca della verità, quale bene comune necessario per il cammino dell’Europa. Il diritto, senza l’autodisciplina morale, non può reggere il peso d’una complessa regolazione sociale. Da qui, l’importanza d’un rinnovato progetto pedagogico, che impegni famiglie, scuola, università, i grandi e piccoli bacini dell’attivismo sociale.
Sospingere foglie cadute con un vento di speranza è il nostro pensiero ininterrotto.