“L’Italia non va, e non è un luogo comune”, scrive la poetessa Tullia Bartolini, che parla di “venti anni di politica oscena”. Ha ragione. “Noi paghiamo” tutto questo. Lo stiamo pagando e lo pagheremo. Credo che si possa portare a suffragio dell’oscenità sopra detta, come piano di calpestio della bellezza, il sussultorio e sgradevole inganno narrato da Loro, il film di Sorrentino. Ma non vi è solo questo. Il rigore morale tedesco lo ha scontato qualcuno più di altri in Europa (vedi la Grecia) e non è poi così limpidamente tale, come ha documentato Roberto Napoletano in una recente pubblicazione (Il Cigno nero e il Cavaliere bianco). In Italia, a modesto giudizio di chi scrive, si scompone in troppi rivoli un bisogno, pure autentico, di verità, perché non c’è pace sociale, né potrà esserci, fino a quando (a pensar bene) il nostro lirismo individuale non si coniugherà con il nostro classicismo, patrimonio immateriale dell’umanità, sfidando un’attualità purtroppo priva di modernità, lontana dal vero. Da noi è saltato tutto quel che ci stabilizzava, dalla divisione dei poteri al sangue della democrazia (la nostra esordisce con le vittime napoletane monarchiche di via Medina e solo nel periodo post-bellico), dalla filosofia del lavoro a quella estetica. Il nostro campo visuale si muove su una strada a scorrimento veloce ingombra di rifiuti. Quei rifiuti, che qualcuno deposita incurante, sono lo specchio di noi senza memoria, senza gusto, senza parsimonia. Verrebbe da concludere, prefigurando scenari da catastrofe, dati i livelli diffusi del contagio, la fragilità che dimostriamo di essere, la visione sconfitta dei vincenti, di gran lunga più modesti dei perdenti, il corto respiro degli oratori sui palchi attrezzati d’ogni ricorrenza. Eppure, nella velocità che uccide, nella volgarità che annienta, esiste un vuoto alla bocca dello stomaco, come su una montagna russa, e un cuore in subbuglio per una patria che vuol rinascere: dalle parole di un figlio rimasto solo, di un malato terminale, di un uomo recluso, di una donna che sorride. Cosa hanno in comune tutte queste persone? La voglia di godere, senza soffrirne, un giorno splendente. L’Italia possiede ancora le premesse di tale splendore. È pur sempre l’Italia “immortale” di Mameli.