Cosa chiede la Luce? Restare. A distanza di tempo, dopo aver governato acque mutate e misteriose, sfiorato le onde per arrivare fino a noi, obliqua. La Luce aralda il centro della cittadina immaginaria di Thornton Wilder. Ma in realtà è il “ponte” sia la domanda principale sia la mancata risposta. “Qui non riposano” (1945), avrebbe detto Indro Montanelli. La Sua vita ha la lunghezza incerta d’una guerra e la voce since 1971 di Alberto Lupo che duetta con Mina le parole finali di Teatro 10.
La Luce rende una risposta a una domanda non pronunciata. Tramutare il sangue in vino, la musica in silenzio, il crisoberillo in alcantara, che in arabo, ancora una volta, significa “ponte”. Per dove? Stereofonia. Biglietto-paradiso. Con spiccioli di libertà e solitudine. Perdersi, dormire.
Ci sono almeno tre motivi per negare la verità. Il primo è intrinseco. Il secondo è estrinseco. Il terzo è un eccidio di campagna, con esodo dalle grandi tradizioni. Noi!
La Luce si ferma sulla porta di casa. Tra qualche minuto verrà a fare il giorno ma per ora è notte, una notte lunga di baci alla finestra, che nevica lacrime e preghiere.
Cosa dice la Luce? “Sono nevrastenica. Ho fiori nervosi che sbocciano dalla pelle e appassiscono in fretta, prima che il giorno diventi notte, solo per fare luce su me stessa”.
Un odore di colla. Coccoina. Dal 1927, sulla tavola dei disegni. Con quel piccolo pennello che stende sulla sfera di Luce una striscia d’odore verde come destrina. Avvengono stoffe in strofe, foto in acqua, etichette in versi, cronologie luminose.
Al punto in cui siamo, tanto vale arrendersi, quando i baci mordono il sapore amaro delle restrizioni.
La Luce non è sufficiente. Si arrampica sulle scale, ma si perde nel labirinto in cui ogni santità ha fine, perché il sangue arriva all’apparenza, e si muta nel suo contrario. Epifania di calze colorate e parole dimenticate. Chi si manifesta, ha l’ardire anche, e al contempo, di nascondersi, allorché si nasce per morire e si muore dopo esser nati.
Se ci si manifesta nell’Epifania, da Alessandria d’Egitto, nel quindicesimo giorno dell’antico calendario alessandrino, qualcosa di noi imperversa come una nuvola minacciosa nel cielo del 6 gennaio. Avvenimenti che trafiggono la carne e sanano dalle malattie, processione di vescovi cristiani nella notte che non ha fine. Poi, viene la primavera di Cristo, la separazione del Bene dal Male. Eppure, era già chiamato Giordano il fiume che scorre fino a noi.
Quante date, amici, ci sono state tramandate! Da Antiochia, alla Tracia, all’Anatolia. Il Concilio di Nicea, primo per la notorietà imperiale, fu un evento politico, poco altro. Non ci si voleva disgiungere. Ma nasciamo, se pure uniti, separati, disgregati.
La Luce, vista dal punto di vista geografico, cede all’Oriente la sua gran parte.
Sant’Ulrico d’Augusta s’invoca contro le calunnie, la balbuzie, il morso dei cani e i ghiri lontano dai raccolti. Un vescovo, primo santo, imbalsamato dalla storiografia.
La Luce è così, paragona se stessa ad una parabola, santa al sole del simbolismo. Ingiusto è il tempo umano, occultato dalla verità dei pensierosi aneliti itineranti.