Bisogna raggranellare gli spiccioli del discorso: prima farlo tutto, poi dividerne una parte. Finisce l’anno. Comporre, operazione non semplice, se si pensa al tramonto di questa breve giornata. La principale cosa è prendere il filo perduto del sogno, una ragione di vita, annodarlo a quello degli altri sogni di cui sei a conoscenza, per trovare il comun denominatore, come nella canzone Imagine di John Lennon. Scrivere parole di carta e affidarle al vento, lasciandole percorrere la città antica, la bibbia, le pietre che ricevono le pietre, il “diritto alla restituzione”. Viene l’ultima notte dell’anno, brulica di persone, compromesse dal destino proprio e altrui. In ogni anfratto, vi sono intemperie, una buona fine. Immagina una stagione breve, una libagione senza dolore, la presenza di un’arma e il sapore di una pace sovrana. Non aver fame, se vivere copre a malapena la tua storia singolare. Immagina di rimanere disteso come se fossi morto, un astronauta lanciato nella navicella spaziale del futuro. Intorno a te gli avvisi dell’etere, voci infinite, e un sogno che comincia a cantare, a voce sempre più alta, all’unisono con altre voci, insieme per non cadere prima che l’opera sia compiuta e qualcuno ti dica: invalidi gli ardori, smodate le ambizioni. Tu mi ascolti. Nessuna nota stonata, solo un silenzio liquefacente che ti racconta di me. Ad un certo punto, i passi si fanno più leggeri e l’autunno stremato spezza le foglie. Non accade nulla che non sia accaduto, ma tu preservi tutto, anche l’amore perduto. Religione naturale è il vivere in quiescenza di peccato, tu solo tu costretto all’ignoto. Una vita in bilico, una vertigine. Ora puoi imparare a ricordare, amare, volare.