Da un occhio di mandorla scorre il fiume giallo e quieto della minaccia. Ma non si può impedire all’occhio di vedere. Non si possono alzare barriere contro il fiume che scorre quieto nel suo letto di spine. Né si può impedire alla pioggia di cadere, alla notizia della vita di volare sulle ali del non visto, del non detto, del non udito. E di passare sopra i mobili ingombri in una cantina, lasciati ad ammuffire come ricordi. L’atmosfera della notte è scandita da un metronomo che non si ferma, anche se la canzone non ha più voce e smette di cantare. Si va avanti, come si può, tra il non visto, il non detto e il non udito. Seguendo una figura per strada che ci ricorda l’amore perduto, solo che adesso ha un bastone per muoversi a fatica. Siamo noi che passiamo di moda e l’ingombro che creiamo richiede qualche pulizia etnica. Forse la politica si sta organizzando in tal senso. La politica, che strana cosa! Sembra esser tutto, a sentire la Arendt, mentre attraversa la piazza del mercato di Hannover. E sembra toglierci tutto, come certi giorni che ci tolgono il sole, quella lampadina accesa che un giorno, tra miliardi di anni, si spegnerà. Io la vado a cercare sul mare, nella forza calma delle cose, di cui ho già detto, ma il cuore, che mi fa vivere camminando, è in tumulto. Non vi è pace, infatti, non vi è pace, perché le persone fingono d’essere quel che non sono, perché si rincorre una meta che non esiste, perché dipendiamo da cose lontane e non riusciamo a scambiarci una carezza nel corpo della prossimità, perché abbiamo allevato nei tubi della follia una materia solida e incandescente destinata ad esplodere nel suo involucro ben protetto dal liquido ematico. E si aggira così, in noi, la bomba di una manifestazione esteriore indigeribile. Non resta molto da vedere: tutto esploderà. Le nostre parole spese male esploderanno per prime. Poi sarà la volta dei luoghi oscuri della memoria, che non abbiamo trattenuto nel sogno di volare con loro oltre i limiti consentiti dalle barriere orizzontali (che non sono esse stesse riprovevoli ma lo diventano quando torturano e uccidono). Quindi scenderà nell’anima di fuoco il tempo andato, il girotondo dei bambini che hanno smarrito la mano che stringevano e nessuno ci ha fatto più caso. Avremmo dovuto fermarci, fare resistenza, opporci, non trasferire eredità ad eredi che non erano tali, se eravamo noi e non altri in grado di giudicarci titolari di un bene prezioso da trasferire. Tardivo è il dissenso, scomposto rammarico, fiacco il perdono. Il nostro patetico scambio di passi notturni delineerà figure mobili su fondali atterriti. Qualcuno guarderà al picco dello spread come un’altra montagna da scalare e la lingua tedesca, che tanto amo, tornerà a dettare legge (ma era così anche prima dell’euro e le classi in cui richiudiamo le idee erano piene di studenti recalcitranti e poco inclini ad imparare dai propri errori). Allora penseremo al messia politico che ci guiderà sui rilievi dell’economia di mercato o sui sentieri, anch’essi montuosi, della latitanza, che si chiami pensione, emozione o liberazione. Faremo molti passi per tornare indietro, al punto di partenza. Sarà inaspettato il fiume che colmerà la piena. Ma dato che nulla è come sembra, nonostante il peso della nostra democrazia sia diventato eccessivo in assenza di virtù che la guidino, potremo anche incontrarci, fare scudo con i corpi alle ingiurie che pioveranno copiose, irrimediabilmente. Almeno interromperemo le trasmissioni. Faremo silenzio intorno a noi e capiremo. Il requiem di Mozart ci accompagnerà ovunque andremo. Una candela resterà accesa.