I sogni devono essere sostenuti da braccia potenti e da una mente lucida, altrimenti generano mostri. Come la pistola della verità nel collo di bottiglia della giustizia provoca, in caso di esplosione, frammenti che possono ferire. Ci accomodiamo, invece, volentieri nel posto che ci è stato assegnato, scomodo e incolore. Il paradosso vuole che con il passar degli anni diventiamo più possessivi e più egoisti. Quel che ci sfugge diventa quel che ci spetta. [Hanno preso la verità e l’hanno modellata nel tempo equivoco del nulla. E noi a far festa, con le unghie e con i denti. Eppure, tutto è così importante così utile così necessario che predisporre i mezzi non equivale a perseguirne i fini]. Siamo una sostanza filiforme destinata ad immergere se stessa, scorriamo nelle tubature fredde degli spazi comuni, quel che siamo toglie la sete. L’anima è lago o è stagno. Per quanto possibile diciamo di onorare ciò che appartiene alla vita, non a noi. Il bianco è il colore dominante in questa raggelante realtà. Nulla è come appare. Tutto cambia, anche nel momento in cui a noi sembra di possedere una carezza. Anche in quel momento, le voci che ci sono consegnate dallo spazio disabitato della nostra anima vanno in cerca dei ricordi e delle loro stagioni vive per fare della felicità un modo per stare insieme a distanza, attraverso la nostalgia. Noi amiamo veramente soltanto ciò che siamo disposti a sacrificare per salvarne il ricordo, l’aria istintiva dei versi sciolti dalla bocca muta. La chiave di Avicii apre la porta dei sogni. Ma sono sogni duri, non passano, stancano e si stancano, a correre lesti nei fossi prendono il rischio di farsi male. Basta una luce in fondo al buio per credere alla vita come arte malferma, come luogo disabitato di incontri. E farci sentire disorientati nel gioco della “mosca di rame”, che raccontava Macrobio. [Mi chiedi: “ascolti i versi sciolti dalla bocca muta?”. L’ultimo sogno rimasto sulla carta è il cenotafio di Newton. E quel gigantismo della ragione contro se stessa cresce fino a mutarsi giocosa in una piccola cosa, che i sovranisti della solitudine chiamano rivoluzione]. I sogni cedono lenza al vuoto. Su un lastrico di materiali intimi. Ogni parola proietta la sua sagoma per diventare, alla fine, un’ultima predizione. [Mosè dubitò che scaturisse acqua dalla roccia. Il Signore si adirò con lui. Il dubbio stava per distruggerlo. Agostinianamente, ripetere le parole del Salmo 50,11: “Distogli il tuo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe”. Accostarci alla realtà con la verga del perdono. Trasfigurare, trasfigurandoci]. La vertigine dal pieno ha origine. Non è inospitale il vuoto, se ci scomunica ogni volta che proviamo a riempirlo. Manca e possiamo perdere solo ciò che possediamo. Le tenebre irradiano da obblighi ripetuti di convenienza. I nostri sogni fanno dell’umano una poesia.