L’estemporanea vitalità del mentire è affluente principale della piena. Un corpo a corpo da riserva o da cantina. Gioire è il modo migliore per parlarne: nessuno viene, nessuno va. Come nel film, molto criticato, “Napoli velata”. Ci si potrebbe spingere oltre. Chi lo fa si perde, perché cerca i minuti che gli sono contati nelle mani sbagliate. Mandanti e vittime hanno le stesse facce, sono amanti. Quel che resta da dire a chi resta solo è la parola “libertà”, pronunciata con enfasi e più volte. Non in uno spazio vuoto, una direzione ignota, ma in un moto dell’anima non condizionato dai moti corrispondenti d’ira della quiete circostante. Un sarto, un cameriere e un giornalaio segnano il campo di fraternità in cui ragionare dei massimi sistemi. Volgere al bene la menzogna è dire la verità che non si può dire. Sotto casa di una persona amata, in via De Sanctis, finisce il film di Ozpetek. Un rumore di passi che si perde nel nulla. Consolante che qualcuno ascolti la cadenza secca, priva di eco, di una città immobile, nella errata convinzione di possedere o di essere. Abbiamo un minuto contato di libertà, affidato al caso e a chi lo governa, seminando la diaspora del corpo a corpo nei campi dello sterminato nulla. Tutto nasce da un equivoco: il non vedere occorre al sapere o al non sapere? Coincidenze. “Chissà se lo sai” (Lucio Dalla), canzone proposta questa mattina da Gianni. Fannie Flagg, ad una fermata del treno che porta al paradiso notturno, scrive su un tovagliolo di carta: “Non c’è abbastanza buio in tutto l’universo da spegnere la luce di una sola candela”. Proposta, a seguire, di Enrico. Strade diverse percorrono l’invisibile, dove finiamo per ritrovarci. Siamo parti gemellari. Grazie Ferzan d’avercelo ricordato.